giovedì 8 settembre 2011

Il rumore della luce

8 luglio 2011. Sveglia alle sei. Tuk tuk fino alla stazione dei bus.
Al mattino presto Pondicherry è ancora una cittadina tranquilla e quasi silenziosa.

Bus Pondicherry-Chidambaram. Foto di Daria Mascotto, 8 luglio 2011.

Solo il giorno prima le strade buie e disseminate di ostacoli, i clacson continui e la mia improvvisa incapacità di attraversare la strada, le tempie pulsanti per la stanchezza e gli sbalzi termici fra l'hammam esterno e l'aria condizionata a temperature artiche degli interni, mi avevano fatta sprofondare in una disperata voglia di non essere mai partita.
Disagio da straniera e mille paure all'assalto dei miei pensieri.

Prendo posto accanto all'autista, sul sedile del controllore. Ma ancora non lo so.
Sono in India da neanche due giorni.
Due ore di sballottamenti, strombazzamenti da sirene di transatlantici e lacrime mute di lontananza.

Arriviamo. Chidàmbaram è caotica e caldissima ormai: sono già le 10 e il solleone è alto e terribile.
Ci avviamo al Nataraja Mandìr - tempio di Shiva, re della danza - fra le puzze indiane.
Entriamo, sudate e spaesate.
Ci sono molte persone, molti pellegrini dai gesti sconosciuti. 
I brahmini shivàiti chiacchierano nel primo recinto. Sono subito riconoscibili dalla jata, i capelli raccolti a cipolla in cima al cranio e rasati per metà, da sopra le orecchie alla nuca. Sembrano tanti gabber in attesa del rave mistico. Tutti con il cellulare in mano o infilato nel dhoti. Ecco, la tecnologia onnipresente ci ricorda che non siamo precipitate in un mondo parallelo e medievale: siamo proprio nel XXI secolo.

Il tempio è ombroso, cupo.
La gente attende davanti al pràkara più interno e sacro il momento della puja di mezzogiorno. Siede, chiacchiera, intreccia ghirlande di fiori. Oppure compie il giro dei tanti cantucci che ospitano i membri della sacra famiglia del Nataraja -  Ganesha, il dio elefante; Pàrvati, la figlia della montagna. Nandi, il toro sacro - e a ciascuno offre doni, sperando di essere ricambiata.

Siamo le uniche occidentali e tutti ci osservano curiosi almeno quanto noi osserviamo curiose loro.
Incontriamo un solo ragazzo francese, disorientato pure lui.

Gopuram Est, Nataraja Mandir, Chidambaram.
Foto di Daria Mascotto, 8 luglio 2011.
Fuori dalla seconda cerchia di mura, nel primo cortile, il sole è abbagliante. Le pietre su cui camminiamo scalze, sono specchi roventi che riflettono la luce che vibra intensamente dall'alto e dal basso, assordandoci.
Tra mezzogiorno e trenta e le quattro il tempio si richiude nel suo ombroso silenzio per il riposo pomeridiano, lasciando i devoti in balìa del frastuono di Surya e dei suoi cavalli infuocati. Tutti cercano tregua tra le colonne più ariose, per mangiare o dormire in terra.

Siamo alla deriva in un oceano di luce. 
Eppure dobbiamo apparire molto buffe, strambe come siamo: bianche vestite all'indiana che ripassano coreografie di Bharata Natyam nell'attesa che si riaprano le porte. 
Qualcuno viene a parlare con noi. Ridiamo tanto, in una lingua franca non verbale, mischiata a inglese e tamìl. Rientriamo così nel palazzo di Shiva di buon umore. Anche la luce è cambiata. Il sole è sceso lasciando l'aria più quieta.
La danza del tempio ricomincia. Nuove ghirlande, nuove carezze di curcuma e ghee, nuovi saluti ad Agni a mani giunte. 
Nuova attesa. Nuova presenza. Nuovo stare. 
Ecco cosa dobbiamo imparare dall'India, questo luogo così lontano da tutto ciò a cui siamo abituate. A stare. Stare al centro, mentre tutto intorno vortica di opposti.
In equilibrio tra l'entusiasmo e la disperazione, tra il silenzio dell'ombra e il rumore della luce.

Sulla carretta del ritorno cantiamo e danziamo, sporche e sudate, meno sole.

3 commenti:

  1. Luce da mangiare!
    Mi piace il clima che sai creare con le parole. Trasmetti bene immagini e sensazioni, così ci si ritrova in viaggio con te.
    Adri ma

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  2. Grazie ma.
    Mi onora il fatto che lo dica un'autrice di grande esperienza e genio creativo!

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  3. E poi lì le sensazioni erano così forti...

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